UNA PASSEGGIATA AI CANAPE’

 
Giunti al Trivio, lasciando a sinistra corso Cavour, imbocchiamo la via Mazzini, antica via della Mora. Fatti pochi passi, dal limitare della piazza Giacomo Matteotti aperta in epoca recente (1938), posiamo lo sguardo sulla via Cesare Agostini.
Proseguiamo per via Mazzini, dove superato a sinistra il palazzo Bechelli  già Silvani, ci attende sulla destra il cinquecentesco palazzo Barugi, unico palazzo folignate dai quattro lati visibili.
Davanti al palazzo Barugi, si erge il palazzo Mancia Salvini.
Procediamo per via dei Franceschi dove, sul lato destro, superato il bel portale al civico 12, già accesso per le carrozze del palazzo Mancia Salvini, ci cattura lo sguardo un altro elegante portale: quello del settecentesco palazzo Fontana poi Ravanelli, quindi Sorbi (1836), in un locale terraneo del quale rimane un soffitto decorato. Sul lato sinistro della via, appena più avanti, un bell’esempio di casa quattrocentesca a sbalzo, mentre poco più avanti, sullo stesso lato, lo stemma in pietra sul portale di un palazzo rimaneggiato, rimanda ad un’antica residenza dei Cattani, passata poi (1788) ai Caminati.
Entrati nella piazza San Francesco, la vediamo dominata dalla monumentale chiesa di San Francesco, oggi santuario della beata Angela da Foligno (2003), officiata dai minori conventuali, con l’attiguo oratorio della confraternita di Santa Maria del Gonfalone. In posizione centrale nella piazza, il palazzo del Tribunale di Perugia, sezione di Foligno, già della Camera di Commercio, costruito nel 1916 su disegno dell’architetto perugino Osvaldo Armanni. È però di recentissima realizzazione (2000) la struttura esterna d’accesso.
Entrati nella contigua via Benedetto Cairoli, ci approssimiamo al palazzo Lezi Marchetti  con l’altana coperta a padiglione, e dopo averlo superato, imbocchiamo poco oltre, a sinistra, la via Madonna del Giglio per giungere alla chiesa di Santa Caterina.
Prendiamo il tratto a sinistra di via Santa Caterina, costeggiando la zona cosiddetta del Cassero dal nome di una fortificazione eretta intorno al 1360 dal cardinale Egidio Albornoz e demolita nel 1439, dopo la caduta dei Trinci. Sul lato destro, all’altezza della traversa di via del Cassero, merita un ricordo lo stabilimento tipografico della Società Anonima Poligrafica Salvati. Il complesso è stato ristrutturato di recente, mutando tuttavia l’originaria destinazione. Poco oltre, a sinistra, si apre la via Vignola, cui è legato l’imponente edificio che vi si affaccia.
Al termine di via Santa Caterina si segnala, per l’area su cui insiste, un elegante villino in angolo con viale Luigi Chiavelllati, ristrutturato (1924) da Giuseppe Mainardi. Qui tra 1658 e 1810, ebbe sede il seminario vescovile che aveva riutilizzato un preesistente monastero benedettino dipendente dall’abbazia di San Pietro in Perugia. Dell’edificio resta solo il ricordo.
Simmetricamente in asse con il villino, sta un’esedra decorata da una piccola fontana e da uno straordinario fondale verde, completata da due ali con cancellate in ferro: è uno dei quattro accessi, il più usuale, al parco dei Canapè, unico polmone verde della città all’interno dell’antica cinta muraria, che in base a ridefinizione urbanistica dell’architetto Luciano Beddini, sono stati attuati su progetto dell’architetto Luciano Piermarini.
Traversiamo il parco dei Canapè, costeggiando a sinistra la medievale torre Montanara, e, per l’accesso secondario diametralmente opposto a quello del nostro ingresso, sbuchiamo nei pressi di porta Santa Maria, meglio nota oggi come porta Todi, al di fuori della quale è stato realizzato (2004) il largo Antero Cantarelli con fontana ornamentale disegnata dal pittore folignate Massimo Botti. L’appellativo più antico della porta, mutuato dalla vicina chiesa di Santa Maria Infraportas, si conserva nella via che si apre alla nostra destra, riportandoci verso il centro. Anche su questa strada, pochi ma significativi frammenti di storia cittadina: i resti di un edificio trecentesco, identificabile con l’antichissimo ospitale e monastero di Santa Maria del Verde, dell’ordine di San Domenico; il palazzo Ferappi, raro esempio di residenza decentrata del patriziato cittadino. Edificato nella prima metà del Settecento da un ramo dei Conti, su una casa cinquecentesca già Silvani poi Jacobilli, è stato in seguito dei Roncalli Benedetti Conti sino al passaggio (1924) alla famiglia da cui ha derivato il nome.
Poco più avanti a sinistra, la chiesa conventuale di San Domenico, trasformata in Auditorium (1996) su progetto di Franco Antonelli, che si alza grandiosa sull’omonima piazza antistante.
Alla grandiosa, trecentesca facciata di San Domenico, sembra far da contrappunto il portichetto, tre archi a tutto sesto sorretti da colonne con capitelli romanici, che protegge l’ingresso della vicina chiesa di Santa Maria Infraportas, parrocchiale e già collegiata, la cui più antica testimonianza scritta risale al 1207. Nella facciata, a corsi di pietra rosa e bianca, è presente una bifora che ha sostituito poco felicemente il rosone originario .
Sulla piazza San Domenico si affacciano edifici civili degni di nota.
Ai bordi della piazza di San Domenico, all’altezza di via Cortella, sfiorata a destra la casa degli Scota, imbocchiamo la via Mazzini e il palazzo Balducci già degli Spinola Gentili richiama subito la nostra attenzione, con il portale ornato da cornici in pietra sormontato da balcone con balaustra in ferro battuto.
In successione immediata, ed ugualmente ornato da balconata in ferro battuto, il palazzo Benedetti, già Zacchei.
Superato, più avanti a sinistra, il palazzo Lattanzi già Poli, che spicca per le eleganti finestre a timpano triangolare coi lati flessi, poi il palazzo Sbrozzi, già Lepri poi Roncalli Benedetti, soffermiamoci sul successivo, già Morselli poi Roncalli Benedetti.
Sfiorata poi una delle cinquecentesche dimore dei Bernabei, il cui stemma è ancora visibile sull’architrave di un portale nel cortile interno, e che successivamente (dal 1652) è stata residenza dei Ludovisi, arriviamo ad un crocevia, detto in passato Trivio della Fonte e poi, più comunemente, la Fonte del Trivio.
Convergono su via Mazzini, in questo punto, la via Aurelio Saffi a sinistra e la via Benedetto Cairoli a destra, che abbiamo già attraversato nel nostro percorso. Tra gli edifici che si fronteggiano lungo il primo tratto di questa, sino allo sbocco in piazza San Francesco, si segnala in particolare sulla destra il palazzo Casalini, già residenza dei nobili Bernabei nel Cinquecento, poi dei Venanzi, di un ramo degli Jacobilli (1654-1814), quindi proprietà dei Barugi Berardi.
Non meno ricca, sebbene meno appariscente, la decorazione del palazzo Rota che si distende poco oltre sulla sinistra.
Segue imponente, nella severa linearità, la facciata del contiguo palazzo Seracchi.Lo fronteggia, in angolo con via Madonna del Giglio, il palazzo Biondi, che è stato dimora dei Grilli e successivamente proprietà degli stessi Rossi.
Ritorniamo alla Fonte del Trivio. Nel tratto di via Mazzini ancora da percorrere, ci attendono in sequenza, sulla sinistra, alcuni interessanti edifici, a partire dal palazzo Nocchi.
Seguono: la casa natale del sacerdote e storiografo Michele Faloci Pulignani, come ricorda la lapide apposta (1956) nel centenario dalla nascita, già appartenuta ai Roncalli Benedetti; in adiacenza, contraddistinta da una facciata Liberty con marcapiani in graffito recanti il motto LABOR VIRTUS, la casa natale di altro insigne folignate: lo scienziato ed astronomo Feliciano Scarpellini (1762-1840), che riportò in auge (1801) l’Accademia romana dei Lincei. L’epigrafe (1879) lo ricorda insieme alla nipote Caterina Scarpellini (1808-1873), dedita anch’essa agli studi di astronomia. Pressoché di fronte, su un architrave  rinascimentale, è inciso il ricordo di Bernardino de Lunti, o degli Unti, medico ed astrologo  († 1515). Mentre nessuna lapide o segno ricorda la casa di residenza dell’architetto Filippo Neri, nonostante il suo contributo, qualitativamente notevole, al rinnovamento edilizio della città nella seconda metà del Settecento.
Torniamo di nuovo alla Fonte del Trivio e prendiamo per via Aurelio Saffi, dove si affaccia la fronte incompiuta della chiesa barocca di San Carlo,
Uno sguardo sul lato opposto al palazzo Novellis, già dimora dei Cotogni poi dei Mattoli quindi (1829) altra residenza dei Lezi Marchetti, ed imbocchiamo a destra la via Colomba Antonietti.
Retrocediamo su via Aurelio Saffi, e superata la chiesa di San Carlo, prendiamo subito a sinistra per via della Misericordia, così denominata dall’oratorio confraternale della Misericordia.
Pochi passi ancora, e lo sguardo si posa sullo stemma gentilizio dei Cantagalli posto sulla sommità di un cinquecentesco portale.
Percorso l’ultimo tratto di via della Misericordia, entriamo nella piazza Matteotti che si apre davanti a noi: negli edifici che vi rimangono e in quelli che sono stati abbattuti (1938) hanno vissuto casati prestigiosi: dai Varini, Jacobilli, Nicolini di Firenze (sec. XVIII), ai Boncompagni Ludovisi di Roma, Barnabò, Aluffi.
Attraversiamo la piazza Matteotti, per sbucare, voltando a sinistra, nella piazza della Repubblica. Uno stemma dei Barnabò residua sul bel portale che sfioriamo a destra prima di voltare: INTROITUM ET EXITUM CUSTODIAT DOMINUS, si legge sull’architrave.